Vieri Bottazzini è un nome che risuona profondamente sia nel mondo della musica classica che in quello della fotografia di paesaggio. Con una carriera inizialmente dedicata alla musica, Bottazzini ha suonato oltre 300 concerti come artista solista, ha insegnato all’università, registrato sette CD, curato edizioni musicali, pubblicato trascrizioni di nuovi repertori e contribuito con articoli per le principali riviste del settore. Tuttavia, la sua passione per la fotografia ha sempre accompagnato il suo viaggio artistico.
La sua storia d’amore con la fotografia è iniziata in giovane età, armato di una Nikon F. Questa passione, inizialmente un hobby, si è trasformata in una carriera professionale nel 2005. Inizialmente, Bottazzini ha lavorato nel settore commerciale e come fotografo di strada, ottenendo riconoscimenti e pubblicazioni su importanti riviste.
Una svolta decisiva nella sua carriera fotografica è avvenuta nel 2010, quando ha trascorso un mese a fotografare i paesaggi desertici del sud-ovest degli Stati Uniti. Questo periodo ha segnato il momento in cui ha deciso di dedicarsi alla fotografia di paesaggio. La vastità degli spazi e la durezza del paesaggio hanno liberato la sua energia creativa e lo hanno trasformato, spingendolo a esplorare la sua interiorità e a definire la sua visione artistica.
Da allora, Bottazzini viaggia per il mondo, raccontando storie attraverso le sue interpretazioni fotografiche dei paesaggi naturali. La sua missione è trasmettere le emozioni e le sensazioni che i luoghi e i momenti gli evocano, invitando gli spettatori a uscire dalla loro zona di comfort e ad abbracciare l’ignoto.
Con oltre 30 anni di esperienza nell’insegnamento, dal 2015 Vieri conduce workshop fotografici in località spettacolari come Islanda, Isole Faroe, Scozia, Inghilterra, Stati Uniti, Italia, Francia e Spagna. Ha condotto oltre 80 workshop, lavorando con più di 120 partecipanti. È orgoglioso ambasciatore di Phase One, H&Y Filters e borse NYA-EVO, collaboratore di FLM Canada Partner e The Heat Company, e associato qualificato del BIPP. In passato, è stato Leica Ambassador e istruttore Leica Akademie e Brand Ambassador per Formatt-Hitech.
In questa intervista, esploreremo il percorso artistico di Vieri Bottazzini, scoprendo le sue ispirazioni, le sfide e le visioni che lo hanno portato a diventare una figura di spicco nel mondo della fotografia di paesaggio.
Qual è stata la tua ispirazione principale per diventare un fotografo? C’è un momento specifico che ti ha spinto verso questa passione?
La fotografia mi ha accompagnato per tutta la vita, mio zio era fotografo (still life e prodotti) e anche mia madre ha fotografato per qualche tempo. Per dire, ci sono foto di me infante che gioco con avvolgitori della pellicola! Poi, un po’ cresciuto, verso i 10 anni ho cominciato a fotografare con una Nikon F e ho continuato senza mai fermarmi, sempre come amatore. Nel frattempo, ho studiato da musicista classico e ho sviluppato una carriera internazionale durata una quindicina di anni, sempre fotografando per mio piacere. Nel 2005 ho cominciato quasi per caso a lavorare come professionista, fotografando musicisti e attori; poi, nel 2010, un viaggio di un mese nel Sudovest americano mi ha fatto innamorare della fotografia di paesaggio e ho deciso di dedicarmici a tempo pieno. Direi che la passione ci sia sempre stata, ma questo viaggio è stato senz’altro il catalizzatore che mi ha spinto verso la fotografia di paesaggio. Ho dedicato i successivi 5 anni a preparare la transizione da musica a fotografia, costruendo un portfolio, sviluppando il concetto dei miei Workshops, e nel 2015 ho lasciato la musica – compreso una cattedra universitaria – per la fotografia professionale di paesaggio a tempo pieno.
Ogni fotografo sviluppa un proprio stile unico nel corso del tempo. Come descriveresti il tuo stile fotografico personale e quali elementi lo caratterizzano?
Beh, per prima cosa fammi dire che se io abbia o meno uno stile secondo me non dovrebbe spettare a me dirlo, ma piuttosto a chi guarda le mie foto… Detto questo, il mio lavoro personale, quello che più mi rappresenta, è una ricerca sul rapporto tra tempo e materia, sull’effetto del tempo sul mondo che ci circonda e, in ultimo, su di noi. Il curatore di una mostra che feci tempo fa diede questa definizione del mio lavoro, dicendomi che io sono “l’unico fotografo che abbia mai visto che fa fotografia di paesaggio autobiografica.” Ecco, questo per me è uno dei complimenti migliori che possa mai ricevere, e una definizione in cui mi riconosco completamente. Tecnicamente parlando, il mio approccio si basa sull’uso della fotografia pura, in bianco e nero, con fotografie realizzate il più possibile direttamente in macchina e con il minimo possibile di editing.
Per questo utilizzo un dorso digitale monocromatico Phase One su un banco ottico Alpa 12 STC con movimenti, e di recente ho anche aggiunto al mio kit un banco ottico 4×5” a pellicola. Nel mio portfolio troverai paesaggi naturali o con elementi creati dall’uomo, spesso interpretati attraverso il controllo dei tempi di posa e l’uso di obiettivi grandangolari.
La fotografia può catturare emozioni e raccontare storie in modi sorprendenti. Puoi condividere una foto che hai scattato che ha una storia particolare o un significato speciale per te?
Ce ne sono molte, naturalmente, ma se dovessi sceglierne una forse sarebbe questa, di Zabriskie Point in Death Valley. Durante il mio famoso viaggio del 2010 di cui ti dicevo prima, Death Valley è uno dei posti che mi ha più colpito e ha più influenzato la mia decisione di dedicarmi alla fotografia di paesaggio. Da allora, ho avuto la fortuna di poterci tornare innumerevoli volte. Death Valley è uno dei posti dove mi sento fotograficamente più a casa, e uno dei posti dove trovo sempre nuovi stimoli, indipendentemente da quante volte ci sia andato. In particolare, Zabriskie Point è uno di quei posti fotografati milioni di volte, un posto che definire iconico è dire poco, ma tra i milioni di fotografie che ho visto, non ne ho mai vista una che mi desse le stesse emozioni di questa.
La tecnologia sta sempre evolvendo, e questo influisce notevolmente sulla fotografia. Quali nuove tecnologie o attrezzature ritieni più interessanti per il futuro della fotografia?
Questa è davvero una domanda difficile… Di questi tempi, la tecnologia si evolve a tale velocità che è davvero difficile immaginare quello che ci aspetta! La domanda però più importante, per me personalmente, è un’altra: cosa mi serve, o mi servirebbe, per esprimere meglio quello che voglio dire con le mie immagini? La mia risposta, che forse ti sorprenderà, è che dopo aver usato Pentax medio formato, Leica sia 35mm che medio formato e di cui sono stato Ambassador per due anni, Hasselblad, Phase One di cui sono Ambassador da quasi quattro anni, di recente come logica conseguenza del mio cammino fotografico ho messo insieme un kit 4×5” a pellicola… che è forse una delle tecnologie più vecchie ancora disponibile oggi! La tecnologia e l’equipaggiamento per me sono fondamentali in quanto ci consentono di realizzare quello che abbiamo in mente nel modo migliore possibile, nel modo più facile possibile, nel modo che più ci è vicino, e così via. Tecnologia ed equipaggiamento per me sono un mezzo, non il fine, e nella mia esperienza ho notato che forse se più gente si dedicasse al fine, invece che al mezzo, il livello della fotografia ne guadagnerebbe.
Spesso, i fotografi devono affrontare sfide uniche durante le loro sessioni fotografiche, come condizioni meteorologiche avverse o soggetti difficili da catturare. Puoi condividere un’esperienza in cui hai superato una sfida particolare per ottenere la foto desiderata?
Beh, ormai faccio questo mestiere da ormai quasi 15 anni, passando 4-5 mesi all’anno in viaggio e preferendo i mesi invernali per la mia fotografia. Questo mi ha portato ad affrontare i climi del nord Europa in inverno, in posti come l’Islanda, le Isole Faroe, la Scozia, dove ho fotografato a temperature fino a -15/-20, affrontando tempeste di vento e neve; mi ha portato a fotografare sulla costa Atlantica della Spagna, dove utilizzo waders da pescatore al petto per navigare l’oceano e raggiungere posti dove altrimenti non riuscirei ad arrivare con la marea che voglio; mi ha portato a fotografare nei deserti del Sudovest americano, dove ho affrontato tempeste di sabbia sulle dune e tempeste di neve sugli altopiani… Il punto, per me, è che quello che conta è realizzare la fotografia che uno ha in mente; bisogna accettare che gli ostacoli per raggiungerla siano parte del gioco, e chi non è pronto ad affrontarli forse dovrebbe dedicarsi ad un altro tipo di fotografia. Soprattutto, non bisogna mai dimenticare che la fotografia che ne risulta deve vivere delle proprie qualità artistiche, indipendentemente dalle difficoltà che ci è costato realizzarla, cosa che chi la guarda non dovrebbe nemmeno sapere. Troppo spesso, invece, vedo fotografie banali “nobilitate” da racconti di tregenda per ottenerle, come se una foto mediocre diventasse improvvisamente un capolavoro solo perché uno ha camminato per dieci ore per farla… quindi, per tornare alla tua domanda, direi che pochissime delle mie fotografie sono state realizzate in condizioni facili, ma piuttosto che parlare io delle difficoltà che ci sono dietro a questa o quella foto, preferisco lasciar parlare le fotografie stesse.
Molte persone oggi utilizzano i social media per condividere le proprie fotografie. Come pensi che la fotografia abbia influenzato la nostra società nell’era digitale, e quali consigli hai per chi desidera condividere il proprio lavoro in modo efficace online?
Nell’era digitale, la fotografia ha senz’altro raggiunto un livello di diffusione mai visto prima. La maggior parte dei social media sono basati sulle immagini, vere o “fake” che siano, e questo ha senz’altro reso la fotografia – o la creazione di immagini, comunque esse vengano generate – uno degli strumenti più importanti di comunicazione nel mondo digitale. Questo, indipendentemente che queste immagini siano usate per condividere un momento, per promuovere prodotti o persone, generare consenso, etc. Per me come fotografo, la domanda che mi sembra più interessante è però invece al contrario come l’era dei social abbia influenzato la fotografia. Tra il mezzo digitale di creazione delle fotografie, che ha allargato enormemente la platea di chi si è avvicinato alla fotografia, e il mezzo di comunicazione digitale dei social, che ha potenzialmente fornito un palcoscenico mondiale a chiunque avesse qualcosa da dire o da condividere, l’era digitale ha certamente rivoluzionato il modo di fare fotografia, l’estetica della fotografia, la professione del fotografo… Naturalmente, come tutte le rivoluzioni, anche questa ha aspetti enormemente positivi, offrendo a chi voglia occuparsi di fotografia opportunità mai viste prima, e altri assai meno positivi, come il rischio – intrinseco in una tale, rapidissima diffusione – di un abbassamento al minimo comun denominatore dell’ecosistema fotografico (che si tratti di produzione, critica o fruizione). A chi si avvicini a questa bellissima arte e voglia condividere il proprio lavoro in modo efficace online il mio suggerimento è quello di concentrare prima le proprie energie sullo sviluppo della propria fotografia, sia tecnicamente che dal punto di vista estetico, e solo successivamente preoccuparsi di come condividere il proprio lavoro.
In pratica, questo per me vuol dire da una parte studiare i maestri di quante più arti visive possibili (fotografia certo, ma anche pittura, scultura, arti grafiche, cinema, etc.), per sviluppare la mia cultura visiva; dall’altra, sviluppare la più completa padronanza del mezzo fotografico possibile compreso per esempio essere in grado di fotografare in analogico e comprendere a fondo i meccanismi di creazione di un’immagine fotografica, cosa che a mio parere aiuta ancora moltissimo. Poi, una volta creato un portfolio di immagini forte, coerente e del quale siamo convinti, si tratta di proporlo al mondo. Per questo, consiglio la creazione di una presenza online basata su un proprio sito, dove essere in controllo di quello che proponiamo e come lo proponiamo; poi, mantenere un blog aiuta senz’altro a trasmettere la propria passione, conoscenza e le proprie idee sulla fotografia; infine, naturalmente oggigiorno serve assolutamente anche un uso oculato dei social media, per raggiungere il pubblico più vasto possibile. Sviluppare una solida presenza online richiede moltissimo tempo e lavoro, così come sviluppare la propria arte fotografica. Ambedue le cose sono certamente necessarie, anche se alla fine, digitale o meno, per me sviluppare la propria arte fotografica viene sempre prima di tutto.
Grazie mille Vieri per il tuo tempo! Per qualsiasi informazione potete visitare i siti: