Il quotidiano britannico The Guardian ha riportato che Sebastião Salgado, al compimento dei suoi 80 anni, ha annunciato il suo ritiro. Tuttavia, è più corretto dire che si allontana dal campo operativo, mantenendo il ruolo di curatore dell’immenso corpus della sua opera, che già quindici anni fa ammontava a quasi mezzo milione di lavori; e i progetti futuri non faranno che confermare questa direzione.
Il progetto di maggior rilievo all’orizzonte è certamente la vasta esposizione in programma per la COP30, che si terrà in Brasile, la terra natale del fotografo, l’anno prossimo. Le opere esposte includeranno fotografie della sua celebre serie Amazônia, una selezione di 255 stampe di grande formato, che saranno accompagnate dalle composizioni del grande musicista brasiliano Villa-Lobos.
Nell’intervista concessa al Guardian, Salgado non solo ha ripercorso i momenti salienti della sua carriera e discusso dei suoi piani futuri, ma ha anche condiviso le ragioni dietro la sua decisione di ritirarsi, legate soprattutto alle sue condizioni di lavoro. La sua salute è stata compromessa da varie avversità, tra cui la malaria contratta durante un reportage in Indonesia e le conseguenze dell’esplosione di una mina in Mozambico nel 1974, dove si trovava per documentare la guerra d’indipendenza.
Questa notizia ci invita a riflettere sul contributo di Salgado alla fotografia, sia in termini estetici che documentaristici. In quasi cinquant’anni di attività, ha viaggiato in oltre 120 paesi, dedicando anni alla realizzazione di progetti che poi sono stati esposti e pubblicati.
Sebbene non siano previsti nuovi progetti, resta il compito di scoprire e valorizzare le centinaia di migliaia di fotografie che Salgado e la sua compagna di vita, Lélia Wanick Salgado, si apprestano a curare ed esporre nei prossimi anni.